Bifaro 2016: (di)vino ambiguo

Rosso, anzi bianco. Diretto, ma anche sfuggente. Dolce e salmastro, carruba e origano. Cupo e solare. Scorrevole, ma complesso. Succo di fragole e liquore alla genziana. Ignorante, ma snob. Caramelle alla frutta e cioccolato amaro. Brutale a tratti, imprevedibile sempre, il Bifaro di Masseria Perugini dimostra che per avere personalità non serve un’identità definita. Un blend di Magliocco, Guarnaccia Nera, Greco Nero e Malvasia Bianca segna la rivincita di una regione bistratta all’insegna della pratica antica del mixaggio azzardato che non teme uve di colore opposto. 14 gradi di ambiguità prepotente a 11 euro.

Guancianera 2017: spremute e transustanziazioni etiliche

Una spremuta siciliana. Non di arance, o meglio, non solo. Il Guancianera di Ferracane è come un tubetto di latte condensato, al Nero d’Avola. Della serie: prendi tutto il buono che c’è in Sicilia e butta dentro. Ma, uno per volta: pomodori di Pachino stramaturi si trasformano in arancia rossa, dolce, con il tocco amaro  dell’uvetta passita, di Marsala, che lascia quel retrogusto aromatico e salmastro tipico delle sarde a beccafico. Qui, è tutto un c’è e non c’è, e per di più in un sorso scarso.

11 euro per assistere alla transustanziazione etilica: una terra che passa allo stato liquido. Misteri e magie, dell’acciaio. Vade retro legno! Ah, i 14 gradi aiutano.

In Italia aumentano gli astemi, mentre in Emilia Romagna si beve di più e fuori pasto

I dati Istat parlano chiaro: in Italia si beve meno. I bevitori giornalieri sono passati dal 29,5 per cento della popolazione nel 2006 al 21,4 per cento di dieci anni dopo. Non solo  sono sempre meno gli italiani che rinunciano al bicchiere di vino quotidiano, ma anche chi l’alcol se lo concede una volta all’anno (passati dal 68,3% del 2006 al 64,7% del 2016 -3,6%). Questo in Italia, mentre in Emilia-Romagna si beve ancora, soprattutto fuori pasto e, soprattutto Lambrusco.

Consumo grafico

La terra del vino da tavola è in piena controtendenza rispetto al trend italiano. Gli emiliano-romagnoli che bevono tutti i giorni sono un milione e centomila, dal 25,9 al 28,4 per cento fra 2015 e 2016. Lambrusco al pasto, ma anche no. In Emilia-Romagna il consumo di alcolici al di fuori dei pasti è più alto rispetto al dato medio nazionale, anche oltre Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli, Lombardia e Piemonte, tradizionalmente inclini al bicchiere fuori pasto.

Cartina

 

Non solo Lambrusco però. Il vino è al primo posto con ben il 58,8% della popolazione che se ne beve almeno un calice all’anno. Al secondo posto troviamo la birra, con una platea di bevitori al 49,6% (era il 49,1% nel 2015), in crescita, ma il sorpasso è ancora lontano. Più staccati gli aperitivi analcolici (40,7%, oltre 6 punti in meno rispetto alle alle altre regioni a cui piace senza), gli aperitivi alcolici (35,3%), gli amari (26,1%, -2,3% rispetto al dato nazionale malgrado il bolognesissimo Montenegro ), i liquori (27,3% di emiliani a fronte del 25,5% nazionale). 

Gli emiliano-romagnoli bevono e il 4 per cento della popolazione beve forte: circa 160mila persone, consuma più di mezzo litro di vino al dì

Ma il 2016 è l’anno che ha visto in Emilia-Romagna l’aumento dei comportamenti a rischio: il consumo abituale oltre la razione da due unità alcoliche prescritte dal Ministero della salute; e il binge drinking, quando si assumono più di sei unità alcoliche in un colpo solo.

Sono 400mila i Lambrusco addicted con almeno un comportamento a rischio sull’alcol, il 19,3% della popolazione. Il binge drinking interessa, invece, il 7,2 per cento, 140mila persone. E sono per lo più i giovani (17% nella fascia 18-24), un terzo dei quali eccede durante l’uscita serale nelle discoteche. Ma è soprattutto nelle mura domestiche che si va oltre il bicchiere quotidiano: da amici (37,6%), al bar (32,7%) o direttamente a casa propria (28,5%).

 

 

Cala n.2: dal Tempranillo a Dali’, un salto da 14 gradi e 1/2

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Ok, l’ho comprato per l’etichetta. Saranno i 14,5 gradi, ma il cala n.2 di Tinedo è un vino surrealista. Il blend è un classico di Tempranillo e Graciano con un pizzico di Cabernet Sauvignon, insomma in apparenza di azzardato c’è poco.

Poi bevi, e come sempre cambi decisamente idea. Voi abbinereste carne di selvaggina affumicata, una crostata di lamponi, jamon iberico, mousse al cioccolato fondente, pomodori confit al timo e una tisana alla liquirizia e tabacco? No, ovvio. 

Ma il gusto liquido ha regole diverse e l’insensato prende senso, come nel Surrealismo, appunto. Poi 12,50 per un’opera di Dali’, mica male no?

Jattura: un napoletano e uno scozzese

Questa volta è tutta questione di legno.  Un napoletano, Fabio Ditto, incontra uno scozzese, l’whisky, e ci va giù di torba.

Nasce così un crossover affumicato il giusto con gli scongiuri del corno stilizzato sull’etichetta di Jattura.

Veste ramata, cappello sottile di schiuma color mou, profumo tra provola affumicata e caramello bruciato.           Non sono i prossimi trend autunno-inverno, ma la birra Scotch Ale di Kbirr: sapore torbato e scia amara al tabacco che invoglia la beva, la napoletana con radici scozzesi ti stende quasi come il padre nordico.

Non c’è storia, la Jattura batte 8,5 a 6, gradi, la sorellina minore #cuoredinapoli tutta made in Sud.

Merlot Borc Dodon 2015: tra valeriana e pile ossidate

Non sembra vino. Di botta diresti di aver bevuto un flacone di valeriana senza effetto calmante.

Poi il sapore di ospedale al balsamico cambia registro e non va meglio: prugna fermentata, pile ossidate e argilla. No, non siamo ancora alla fase enodeliri in Alta Brianza, o quasi.

È tutta colpa del Merlot eroico di Denis Montanar che sa di non essere ‘buono’, ma punta tutto sul carattere intrigante e poi, si sa, non riesci a fermarti, di bere. Come resettare tutte le convinzioni e le aspettative da Merlot in un concentrato di gusto selvaggio che è un’esperienza da ripetere.

14 euro bastano per capire che non è buono ciò che è buono ma ciò che piace.

Cresta del Ghiffi 2017: fragole e nebbia

Uva stramatura reidratata dalle prime nebbie dell’Oltrepo’ Pavese. Solo così nasce il Bonarda in purezza Cresta del Ghiffi dei fratelli Agnes: un fuoriclasse nemico della pioggia che annacqua il mosto grasso di Rovescala. 

Scorrevolezza da record per un corpo ruvido, tanta frutta ma con classe, non può non dare soddisfazione. Come una coppa di fragole con panna: è il dolceacido che non stanca con la scossa della spuma, fitta.

9 euro per il prototipo del Bonarda. Da lì non tornerete più indietro.

El Gat Ros 2016: acido spiritato

100 per cento di Cabernet Sauvignon, irriconoscibile nella versione atipica di Carolina Gatti . Bassa gradazione, corpo liscio che scorre giù felpato come un gatto, rosso. Nessuno spazio alle morbidezze del tannino, solo acidità al sapore di bucce, acerbe. 

Pochi fronzoli, carattere spigoloso, non ti liscia, ma ti sfida e ti inganna a sorsi. Il coraggio di far parlare la terra che non si affida al gusto facile, o lo ami o lo odi. Siamo a Ponte di Piave, dove le morbide argille trevigiane ai frutti rossi cedono di colpo alle sberle acide delle rocce carsiche.

Elegante, a tratti ruvido, quasi schizofrenico, è diabolico e spiazzante come un gatto. 12 euro e avrete il vostro gattino ‘spiritato’, ma occhio che sarà lui a comandare.

Grek 2015: confettura di tufo

Dopo aver aperto un barattolo di confettura di albicocche avrete a che fare con un blocco di tufo. Si, proprio un pezzo dell’atollo tufaceo che sovrasta Rocca Ripesena. Siamo a casa del Grek di Palazzone, coraggioso 100 per cento di grechetto.

Un vitigno autoctono ostico da domare, difficile da azzeccare. Il rischio è di beccarsi in un sorso albicocche caramellate, banane alla vaniglia con panna e spaghetti alle vongole, sabbia compresa. Esattamente in questo ordine. Un pasto completo e invertito. Aiuto.

Ma il Grek ha trovato le dosi giuste di un ricetta estrema. Il tutto sta nel giocarsi bene la carta dell’escursione termica. Sfruttare quanto basta la notte per raffreddare le esuberanze fruttate con un’iniezione di roccia. 

9 euro e gli opposti si attraggono. 

Fumin 2016: il naturale antibiologico

Prendete dei frutti di bosco, rossi e non dell’Esselunga che non vale. Tipo ribes, lamponi, corniolo. E si, il corniolo esiste. Poi aggiungete fiori di montagna essiccati, succo di mela valdostana e un pezzo di radice di quercia. Difficile? No, di più.

Il Fumin di Ottin ci riesce. Dosaggio pediatrico del legno per non schiacciare la personalità inconfondibile del fuoriclasse della Vallée. Filosofia enoica fuori dagli schemi e stile da vendere, Ottin è il vignaiolo indipendente vero per cui non si può non avere un debole.

Naturale senza essere biologico, perché il rispetto della terra non passa da un marchio, comprato. Lo pagate 20 euro, ma la sua eleganza politicamente scorretta non ha prezzo. Fidatevi.